Il 13 dicembre, in Interclub con il club di Napoli Sud-Ovest, presieduto da Ester Chica, abbiamo incontrato lo scrittore, sceneggiatore e drammaturgo Maurizio De Giovanni.
L’occasione era data dall’uscita in libreria del suo nuovo romanzo, protagonista l’ormai a tutti noto Commissario Ricciardi, “CAMINITO”.
Ma la conversazione, introdotta dal nostro consocio Roberto Morleo, ha spaziato sul tema più generale dello scrivere, e soprattutto del narrare Napoli.
La città di Napoli, al centro delle opere di De Giovanni, è stata dunque anche al centro di quella che, più che vera e propria conversazione, per la leggerezza e la simpatia che l’ha caratterizzata, potrebbe essere definita una piacevole chiacchierata, ricca di aneddoti e di interessanti spunti.
Napoli non viene mai apertamente nominata nelle opere di De Giovanni. L’autore sostiene che, in 36 romanzi e in 8 raccolte di racconti, non ha mai utilizzato la parola “Napoli”. Gli crediamo sulla parola. Ma, in ogni caso, Napoli come città permea di sé tutti i suoi scritti.
Un po’ di rammarico c’è, nel vedere Napoli agli ultimi posti della classifica per la qualità della vita. E tuttavia il turismo cerca sempre più il contatto con la città ed apparentemente nega quest’ordine. Le classifiche, certo, sono elaborate a partire da parametri differenti ed opinabili, ma c’è un dato di fondo che De Giovanni sottolinea: la città metropolitana conta più di tre milioni e mezzo di abitanti. Una cifra enorme se rapportata a quella fetta di cittadinanza che davvero beneficia dell’offerta di bellezza che Napoli può donare. Insomma, è una città in cui il numeratore non compensa il denominatore.
E Napoli è anche la città che sa fare meno sistema: nessun napoletano si fiderebbe di un napoletano. Manca l’inclinazione, la disposizione a fare sistema. Da qui i grossi problemi che la affliggono, dalla dispersone scolastica alla proliferazione della criminalità organizzata, alla mancanza di società quotate in borsa con sede sul territorio comunale.
Ma poi, il discorso si concentra sulla città letteraria, narrata e descritta. E qui Napoli può realmente essere definita come l’unica città italiana con una personalità narrativa. Non hanno personalità narrativa Milano e Torino, città di carattere europeo, sì, ma per ciò stesso indistinte, uguali a tanti altri luoghi privi di forte ed autonoma identità. Non la hanno Firenze e Venezia, che sono due monumenti. Non la ha Roma, che è città di mille città, che è una, ma che ne ha in sé tante altre.
Napoli, invece, è l’unica città che riesce a mettere a confronto classi sociali diverse, le une accanto alle altre. Difficile concepirla, ma facile raccontarla. Perché Napoli ha sempre raccontato storie e lo scrittore, in questo contesto, non deve fare altro che recepirle e metterle sulla carta. Il portone di Palazzo Serra di Cassano, chiuso dal 1799, in segno di lutto e protesta contro il Re che aveva fatto giustiziare il figlio del Principe Serra di Cassano, Gennaro, in seguito ai fatti della Repubblica Napoletana, rappresenta l’emblema dello iato tra la classe dirigente della città ed il resto della popolazione. E tuttavia, nonostante ciò, vi è l’osmosi, di cui precedentemente si parlava, tra classi sociali diverse.
E’ così che, con i Bastardi di Pizzofalcone, De Giovanni riesce a mettere a confronto differenti realtà sociali racchiuse tutte nel raggio di azione di un Commissariato, quello di Pizzofalcone, appunto, che ha competenza tanto sulle scale povere e rischiose del pallonetto Santa Lucia, che sul turistico Lungomare da cartolina o sulle scintillanti vetrine di via Chiaja.
Il Commissario Ricciardi, invece, gli consente di raccontare una Napoli del passato, una Napoli in cui vi era miseria, ma anche orgoglio e dignità. Ed approfondire zone oscure, come quelle delle leggi razziali, quando molti si inventarono delatori entusiasti. Le ragioni restano incomprensibili a leggerle solo attraverso la cronaca o il procedimento giudiziario. Le ragioni emergono solo quando si inizia a raccontare storie. Una storia colpisce, entra e rimane nella mente, partecipa di un’immedesimazione possibile.
De Giovanni ha realizzato che il modo in cui le sue opere vengono lette fuori Napoli è differente da come esse possono essere percepite a Napoli. Fuori prevale la curiosità “esotica”. Per noi Napoletani, invece, la lettura della narrazione della propria città costringe ad aprire una porta che spesso tendiamo a tenere chiusa, per riserbo, a volte, a volte per vergogna. E, a questo proposito, interessante è la teoria secondo la quale leggere implica uno sforzo intellettivo e creativo forse addirittura maggiore dello scrivere. Il lettore leggendo immagina il mondo che lo scrittore descrive, e spesso continua in mente sua il racconto lì dove l’ultima pagina si chiude.
Impossibile sarebbe per lui scrivere lontano da Napoli, perché la città è la sua unica fonte di ispirazione.
(resoconto a cura di Marco Palmieri)